Da grande voglio fare il fotografo! Sì, di quale genere?

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Da grande voglio fare il fotografo! Sì, di quale genere?

Alcuni fotografi (e attori, cantanti, giocolieri, pittori, scultori, musicisti, artisti e artiste in genere) vorrebbero suscitare stupore. Forse per questo fanno quello che fanno.
Lo strano, non basta quasi mai per suscitare stupore; il grande, il tanto, il complicato nemmeno. Non è facile.
Una caratteristica tecnica interessante della fotografia è quella di poter accumulare la luce. I nostri occhi vedono se c’è abbastanza luce e sotto un certo livello non vediamo nulla, certo se aspettiamo un po’ gli occhi si adattano ma non più di tanto.
Se aumentiamo il tempo di esposizione di una foto, l’effetto della poca luce si accumula (sia sul sensore elettronico sia sulla pellicola analogica) e nella foto riusciamo a vedere cosa c’è in quello che percepiamo come buio.
In pratica il sensore forma l’immagine trasformando in segnali elettrici l’energia luminosa; la stessa quantità di energia si può ottenere con potenza forte (luce intensa) e tempi brevi o con potenza piccola (luce bassa) e tempi lunghi.
Nella fotografa astronomica ad esempio, la lunga esposizione del cielo stellato ci permette di vedere stelle debolissime invisibili ad occhio nudo.
Le esposizioni lunghe tendono ad aumentare il rumore nella foto, cioè la presenza di punti di colore casuale.
Anche il mosso, il dipingere con la luce, le scie notturne dei fari delle automobili sono legati all’accumulo di luce.
Cercare e trovare, due modalità per chi fotografa.
C’è chi si dà dei temi da seguire e quando ha una fotocamera cerca nell’ambiente qualcosa che stia dentro uno dei suoi temi.
C’è chi si lascia attirare da qualunque cosa interessante che si trova nell’ambiente.
Chi trova fa tante foto e poi può categorizzarle in temi, chi cerca ha una scelta più limitata.
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Grazie per l’attenzione.
m.j.
E’ vero, certe volte gli errori portano a qualcosa di inaspettato che ha un suo senso e tocca più di una foto perfettina.
Mi disturbano gli orizzonti un po’ inclinati, i piedi un po’ tagliati, il soggetto principale un po’ sfocato, le foto un po’ scure e quelle un po’ chiare, le foto sbagliate fatte passare per artistiche, le foto elaborate un po’ male, gli errori chiamati fantasia.
Mi infastidiscono un po’ anche le foto che sembrano belle solo quando sono viste sullo schermo dello smartphone.
Ci sono anche foto irripetibili, fatte come si può e con ciò che si ha disponibile, meglio che non vengano buttate.
Le foto di cibo sono molto condivise: pizze, piatti etnici, apericene sono oggetti colorati, in genere ben disposti nel piatto, in genere si è ben disposti, si pregusta e si vuole far partecipi gli amici che non sono lì. Nel mondo di tutti chef di inizio terzo millennio è normale che si fotografi il cibo, peccato che non si possano ancora condividere il profumo e il gusto. Forse è solo una questione economica, condividere una foto costa meno di inviare un piatto a qualche amico per mezzo di un biker.
Meno divertente deve essere per un fotografo professionista fotografare nel suo studio un piatto che sembri appena sfornato. Un piatto freddo che dovrebbe sembrare fumante, pasta al sugo che deve essere spruzzata con un lucidante, olio che deve essere versato in continuazione sull’insalata. E poi proteggere l’attrezzatura fotografica da tutto quel che c’è in una cucina funzionante.
In ogni caso se si fotografa il cibo prima di mangiarlo vuol dire che si sta bene, guai a chi si lamenta. L’ Indice globale della fame GHI (fonte Wikipedia) dice che ci sono 10 nazioni con situazione allarmante (9 sono in Africa) dove c’è poco da condividere.
Gran parte dei selfie è fatta tenendo lo smartphone in mano (60-80 cm dalla faccia). L’obiettivo degli smartphone è in genere un grandangolo. Caratteristica del grandangolo è quella di far sembrare grandi le cose vicine e piccole quelle lontane. Quindi la faccia del soggetto risulta con un gran nasone (la parte più vicina), larghi zigomi e piccole orecchie e, se viene ripeso tutto il corpo, le gambe sembrano corte e i piedi molto piccoli. Qualcuno chiama questo fatto selfie-dismorfia. Non sembra che questo sia un problema per chi guarda un selfie di un altro, se conosce la persona non vede il nasone ma l’idea della persona con la sua normale faccia e le sue normali gambe. La percezione visiva è quindi cambiata per molti in pochi anni. Un po’ diverso quando una persona guarda un suo selfie e si vede brutto/a.
Capita anche che il formato di un film fatto per la televisione di qualche anno fa (che era in formato 4/3) sia trasmesso stirato per occupare tutta la larghezza di uno schermo TV attuale (in genere in formato 16/9). Le facce, i corpi sono allargati con effetti anche ridicoli, ma molte persone correggono automaticamente l’immagine percependole normali, come si aspettano di vedere. A volte, più raramente i film in cinemascope (formato circa 2,3/1) sul normale schermo mostrano attori magrissimi.
Ora gli smartphone evolvono, ci sono obiettivi meno grandangolari e ci sono filtri software che modificano anche automaticamente le immagini.
I tempi di osservazione delle immagini sono diventati molto brevi e il cervello fa quello che può.
C’entra la Gestalt.